ITINERARI - IL MONDO ATTUALE - STORIA - AMERICA E RUSSIA: MITI A CONFRONTOGLI USAAll'attitudine nei confronti dell'America ha fatto per molto tempo da parallelo quella nei confronti della Russia. Per tutto l'Ottocento tra gli intellettuali europei serpeggiò la consapevolezza che i due Paesi erano le potenze del futuro: solo che alla Russia andava ancora associata un'immagine di barbarie asiatica, di arretratezza, di dispotismo, temperata dall'apprezzamento delle sue immense risorse naturali e delle grandi riserve di energie umane e morali. La Prima guerra mondiale rivelò, da un lato, la supremazia economica americana sulla stessa Europa occidentale, dall'altro fece della Russia rivoluzionaria, ormai Unione Sovietica, il centro di un movimento mondiale, quello comunista, che sfidava l'ordine costituito di tutti i Paesi capitalisti. Questo non impedì agli stessi dirigenti sovietici di nutrire per l'America un rispetto tinto di ammirazione: la scommessa dell'esperimento sovietico era di conquistare la modernità, e con essa un benessere di massa propiziato dal dispiegamento di ogni risorsa scientifica e tecnica, realizzando nel contempo un ideale di eguaglianza sociale. Ma le vicende successive al 1945, relegando in seconda fila i parallelismi e le analogie che erano invalsi sino al 1917, e privilegiando l'opposizione tra modello capitalista americano e modello collettivista sovietico, finirono con l'attenuare la percezione della comune distanza dei processi di modernizzazione e industrializzazione dei due Paesi rispetto alle esperienze europee. L’Europa occidentale, del resto, entrata stabilmente negli anni Quaranta nell’area d’influenza militare ed economica della potenza nordamericana (appartenenza sancita in successione dagli accordi di Bretton Woods, dal piano Marshall e dal Patto Atlantico), avrebbe mutuato dall’America anche stili di vita e mode culturali. Modelli sociali contrapposti, America e Russia (intesa come Unione Sovietica) si proposero attivamente nel XX secolo come miti politici. Il fallimento delle democrazie europee di fronte ai fascismi si tradusse, all'indomani della Seconda guerra mondiale, nel favore con il quale gran parte dell'opinione pubblica moderata europea guardò agli USA come a una sintesi rassicurante di libertà, democrazia politica e benessere; mentre la parte di orientamento comunista e socialista guardava con altrettanto favore all'URSS, come patria di una democrazia formalmente più limitata di quella parlamentare, ma sostanzialmente più reale, perché garante degli interessi della stragrande maggioranza della popolazione lavoratrice. Durante la guerra fredda i due miti vennero irrigiditi, e spesso deformati in caricature, dalle opposte propagande. Filoamericanismo e filosovietismo non erano tuttavia esattamente speculari. Tra chi avversava il modello sovietico, molti (conservatori, nazionalisti, cristiani, socialdemocratici) e per ragioni diverse non erano affatto entusiasti di quello americano e ne riconoscevano ampiamente i limiti e le mistificazioni. Di circolazione e di credito molto più ristretti, privo com'era del sostegno assicurato all'America dalle forme di comunicazione di massa (dal cinema alla musica), il mito sovietico aveva corso all'interno dei partiti comunisti dell'Europa occidentale, oltre che in alcuni movimenti di liberazione coloniale, ai quali offriva l'esempio di un Paese arretrato giunto rapidamente allo sviluppo industriale sotto la guida ferrea di un'avanguardia rivoluzionaria (inizialmente, per esempio, fu questo il corso seguito anche dalla Cina popolare di Mao Tse-Tung). Inoltre era un mito difficilmente verificabile, vista la scarsa trasparenza della società sovietica; ma poiché visitavano l'URSS soprattutto coloro che cercavano conferme a posizioni già favorevoli al socialismo “realizzato”, era tanto più fideisticamente accettato e ripetuto da quadri di partito, militanti di base e simpatizzanti. Le informazioni sui livelli di vita della società sovietica, fornite dalle autorità moscovite e riecheggiate dai sostenitori stranieri, erano generalmente abbellite; e se i dirigenti sovietici avevano ogni ragione di vantare i grandi progressi materiali realizzati, tenuto conto del punto di partenza del Paese e delle enormi difficoltà attraversate, assai meno ragionevole era la mera riproposizione della loro propaganda nel contesto europeo occidentale. L’erosione e la disintegrazione dei miti americano e sovietico avvenne per gradi, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta e poi, più decisamente, a cavallo dei decenni Sessanta e Settanta, anzitutto tra gli intellettuali e gli osservatori politici occidentali più accorti, in seguito anche nella coscienza comune. Contribuirono a questo processo di disillusione da un lato la semplice realtà dei fatti, dall'altro la stessa ripresa economica dell'Europa occidentale, favorita dal piano Marshall. La “realtà dei fatti” sovietica (dal rapporto Krusciov agli interventi militari in Polonia, Ungheria e in Cecoslovacchia, alla diffusione della letteratura del dissenso) causò uno stillicidio di abbandoni e ripensamenti tra gli intellettuali di sinistra (l’anno 1956, con il duplice impatto delle rivelazioni di Krusciov sui crimini staliniani e della repressione operaia di Budapest, segnò un vero e proprio spartiacque nel rapporto tra movimento comunista filosovietico e intellettuali); mentre, in anni più recenti, la migliore conoscenza (anche grazie al turismo) delle condizioni di vita vigenti nei cosiddetti Paesi dell’Est generalizzò il disincanto. Quanto agli USA, il vergognoso sistema della discriminazione razziale, l'evidente sostegno in tutto il mondo a dittature militari e regimi oppressivi fascistoidi, e soprattutto la “sporca” guerra del Vietnam, tolsero via via all'America, anzitutto davanti a se stessa, ogni possibilità di porsi a pietra di paragone. Così l'Europa occidentale della crescita economica del secondo dopoguerra (per quanto sia stato alto il costo sociale della stessa e contraddittori i suoi esiti) finì lentamente col riacquistare l'antico, sottile senso di superiorità nei confronti di America e Russia. Tanto più in quanto si generalizzava la percezione delle due grandi superpotenze non già come Paesi modello, fecondi di esempi positivi per l’umanità, ma come puri e semplici imperi moderni, regolati dalla logica dell'interesse dei rispettivi ceti dominanti e della sopraffazione sui Paesi più deboli: Stati, insomma, con i quali bisognava fare i conti, e gli affari, ma non più da mitizzare. Forse qualcosa è cambiato dopo l'11 settembre 2001, giorno del sanguinoso attacco terroristico all'America, quando si riscoprirono vicinanze e legami, il più delle volte emotivamente solidali, con la popolazione statunitense. Ma forse, in seguito, il risvolto meno immediato di tale condivisione del dolore è stato ancora più profondo, e ha innescato una riflessione critica sulla trasformazione in senso sempre più aggressivo e sciovinista della “Nazione Americana”, contribuendo a infliggere un nuovo, decisivo colpo al mito a stelle e strisce di cui abbiamo detto. E tuttavia, sul piano dei modelli culturali è stata sicuramente l'America a prevalere nel XX secolo. La società dei consumi, la disponibilità di beni, la mobilità, la differenziazione, l'esercizio presunto del dissenso, la competizione, l'individualismo: nonostante l'illusorietà cento volte smascherata e la funzione mistificatoria di questa immagine, la modernità americana proposta a tutto il mondo dai mezzi di comunicazione di massa, cinema e televisione in primo luogo, ha finito con l'attrarre un po' tutti, compresi non pochi protagonisti degli esperimenti di tipo sovietico. Fino a far sospettare che, se un esempio poteva offrire l'URSS di Stalin e dei suoi successori (e le sue repliche nel resto del mondo), era forse solo quello di una industrializzazione accelerata e forzata (a direzione autoritaria) in un Paese arretrato: un modello che non appena raggiunge l'obiettivo diventa insopportabile. Il confronto tra i due sistemi politici e ideologici è venuto meno con l'implosione della Russia comunista, che anche formalmente è stata ratificata con lo scioglimento dell'Unione Sovietica nel dicembre del 1991. La disgregazione dell'URSS ha avuto una conseguenza di enorme portata storica e psicologica, perché non si è trattato solo della crisi di una potenza; in quella entità politico-economica si era voluto vedere la realizzazione di un ideale socialista, di eguaglianza e fraternità (il cosiddetto “socialismo reale”, appunto perché storicamente attuato), che fino al 1917 era stato solo un'aspirazione vaga, una meta utopica, un traguardo da raggiungere (se e chissà quando) per le masse sfruttate dei lavoratori, per il proletariato mondiale. E a poco valsero le critiche di coloro che, da sinistra, denunciarono per tempo l’involuzione burocratica, autoritaria e nazionalista di quell’esperimento rivoluzionario, che troppo presto si era ridotto a mero capitalismo di Stato. Così il crollo del 1989-91 ha portato con sé anche il crollo di speranze e aspettative ben più ampie, legate a una visione complessiva della politica e della vita; la caduta del modello sovietico ha messo in crisi l'idea stessa di comunismo, sconvolgendo anche in altri Paesi i partiti comunisti di ispirazione sovietica, ma anche quelli socialisti o comunque di tutte quelle formazioni che si richiamavano al marxismo, lasciando sgombro il terreno a ciò che l'America oggi rappresenta. L'IMMAGINE DELL'AMERICA... Il primo cinema ... continua ... |
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